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sábado, 30 de noviembre de 2013

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Il Giornale, 26 novembre 2013




E' stato dall'Air Force One, andando a Seattle, uno dei più spettacolari bastioni del potere americano, che Obama ieri ha chiamato Bibi Netanyahu a Gerusalemme. Non è stata una conversazione semplice, ma l'indispensabile incontro di una coppia che non può, almeno non può ancora, vivere separata. Israele e gli USA solo qualche mese facevano mostra di un'alleanza sostanziale, fatta di valori, di ricordi, di canzoni, di film, di pacche sulle spalle fra i due leader senza giacca. Che l'Iran fosse il peggiore di tutti i nemici era credo comune, che forse si sarebbe dovuto usare i jet contro le centrifughe, una formula ripetuta da ambedue.  Era inteso un Paese che odia gli ebrei e ne minaccia l'estinzione, che vuole soggiogare il mondo e a casa sua impicca gli omosessuali e rinchiude i dissidenti non debba arricchire l'uranio. 

L'America e Israele sono due Paesi di frontiera, due fortini assediati dagli indiani dove vivono i cowboy contro il terrorismo e la dittatura. Tutto questo, dopo l'accordo con l'Iran, cambia. Si apre un futuro in cui Netanyahu indosserà, come ha fatto in questi mesi, l'eroica casacca del dissidente, di commesso viaggiatore dell'accordo definitivo che dovrà essere ricontrattato fra sei mesi, in cui Bibi pretende la distruzione del programma nucleare. L'ha ripetuto ieri, di fatto impegnandosi a un lavoro diplomatico che esclude ogni intervento bellico, probabilmente l'ha promesso a Obama mentre lui gli prometteva di sorvegliare minuto per minuto la realizzazione degli accordi.  Tutti i P5+1 sono comprimari della mossa americana. Solo Mohammad Javad Zarif è l'altro protagonista oltre, dietro le quinte, a Putin. Netanyahu,con Obama il vero protagonista, sostiene che "il mondo è oggi un posto più pericoloso" perchè l'Iran ha avuto il permesso di seguitare a arricchire l'uranio e può sempre balzare avanti o ingannare. Obama, come si sa, pensa il contrario:  è un posto più simile al mondo di Obama dove si fa la pace per fargli piacere. 

La Ashton resta il simbolo di una trattativa scontata, col suo sorriso estatico a Zarif, un'attivista di parte.  Ma a fronte del formalismo dei ministri,forse vergognosi nel compiere un gesto che la storia potrà rinnegare, restano tre  fatti rivoluzionari: la volontaria ritirata dall'impero mondiale degli USA; la solitaria resistenza di Israele; la vittoria sostanziale di Putin. La Russia è la grande potenza che ha sostenuto l'Iran, che ha imposto a Obama di rimangiarsi la promessa di intervenire contro Assad, che sostiene l'asse sciita Iran, Siria, Hezbollah. Infatti adesso, non si offenda il pacifismo obamiano, l'Arabia Saudita si prepara ad il nucleare. La Russia è anche il Paese che di fronte agli errori americani di fronte alle primavere arabe si propone al posto di Obama, come ha fatto in Egitto.

Obama e Netanyahu al telefono hanno scelto una reciproca rassicurazione: Obama cercherà di garantire che i sei mesi di sperimentazione con l'Iran siano ben controllati così che Israele possa verificare che non ci si prepara a costruire la bomba. Quanto a Netanyahu, si devono essere detti i due leader, di certo non attaccherà le strutture atomiche iraniane nei sei mesi di verifica. Ma il disaccordo è profondo. Oltretutto nuove rivelazioni dell'AP portano alla luce che Obama e gli uomini nel suo inner circle già dal marzo scorso, in gran segreto hanno incontrato gli incaricati del governo iraniano per disegnare l'accordo appena firmato. Netanyahu ne sarebbe stato avvisato soltanto nella tarda estate, e lasciato da solo a immaginare quali evidenti conseguenze questo avrebbe portato compresa la cancellazione, forse, dell'intervento in Siria. E' anche senso comune che la liberazione di assassini e terroristi palestinesi per il processo di pace, sponsorizzato da Obama, fosse legato alla promessa di Obama di mantenere una posizione severa sul nucleare iraniano. Si direbbe che Obama già giuocava il suo giuoco mentre Israele ancora contava su di lui.


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Fiamma Nirenstein è giornalista e scrittrice. E' stata deputata per il Popolo della Libertà ed ha ricoperto il ruolo di Vicepresidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati nella XVI Legislatura. Fino alla sua elezione, nell'aprile 2008, è stata editorialista ed inviata dal Medio Oriente per “Il Giornale”, quotidiano per il quale continua a scrivere in qualità di opinionista. Dal 1991 fino al Novembre 2006 ha lavorato per “La Stampa”, per cui ha scritto prevalentemente dal Medio Oriente. E' stata collaboratore fisso anche per il settimanale "Panorama". Da Gerusalemme ha scritto reportage, commenti, storie, interviste, sui conflitti, le guerre, il terrorismo, sulle dinamiche fra le tre religioni monoteiste e sui segnali di pace, di democratizzazione e di conflitto nell’area intera. Ha scritto dieci libri. L'ultimo, "A Gerusalemme, è uscito nel 2012 per Rizzoli. Quello precedente, "Israele siamo Noi" (Rizzoli, 2007) è stato tradotto in inglese ("Israel is us - a personal odissey to a journalist's understanding of the Middle East", JCPA ed., 2009).

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